La Cannabis light e il CBD sono spessissimo al centro di dibattiti e polemiche.
Questi prodotti sono ormai venduti in maniera diffusa sia al dettaglio che nel mercato online.
Nonostante questo ci sono ancora molti dubbi sullo statuto giuridico del CBD.
Da una parte si dice sia legale in quanto non ha effetti droganti, mentre fa da contraltare invece il fatto che comunque si tratti in qualche modo di droga e che si rischia se la si acquista.
Chi vende e chi compra questi prodotti dovrebbe forse temere ripercussioni legali? O si tratta solo di chiacchiere senza fondamenta?
Ecco le principali norme in materia di Cannabis per far un p’ò di luce a questi quesiti.
Partiamo dalle proprietà del CBD, le due più importanti molecole prodotte dalla canapa sativa sono appunto il CBD (cannabidiolo) e il THC (tetraidrocannabinolo).
Questi due elementi sono i principali artefici degli effetti causati dalla Cannabis e per questo si trovano sempre al centro dei dibattiti.
Da una parte c’è il THC che è considerato uno stupefacente per le sue proprietà psicoattive, e per questo è illegale.
Dall’altra il CBD che a differenza del precedente non ha alcun effetto psicotropo.
Tutti e due interagiscono sui recettori endocannabinoidi del nostro sistema nervoso esercitando diversi effetti, alcuni dei quali sono indagati dagli studi medici per i loro possibili usi terapeutici.
Per quanto riguarda il CBD questo è presente in alcuni medicinali approvati dall’Unione Europea ed è utilizzato per trattare i sintomi di alcune patologie quali la sclerosi multipla e i disturbi legati all’ansia.
Una delle sue caratteristiche apprezzata nell’uso terapeutico è la mancanza di particolari effetti collaterali.
I prodotti a base di CBD sono molteplici, olii, capsule, creme o gel liquidi da svapo ecc.
CBD cosa dice la normativa italiana
Nonostante il fatto non abbia effetti psicotropi e dunque non considerabile come uno stupefacente per la legge italiana, legalmente la situazione non è del tutto chiara.
Per il decreto del Presidente della Repubblica Dpr 309/1990 non c’è alcun dubbio in merito, la canapa è uno stupefacente e dunque la sua coltivazione è illegale salvo quando sia volta a destinazioni d’uso industriali approvati dall’Unione Europea.
Invece La legge 242/2016 cerca di essere ancora più specifica in modo da evitare fraintendimenti e consentire un uso industriale della canapa esente da ambiguità.
In particolare stabilisce che può essere coltivata in modo legale solo la Cannabis contenente una percentuale di THC inferiore allo 0,2%, oltre indicare tutta una serie di destinazioni d’uso consentite dalla legge.
Eliminato quindi il THC, l’elemento principe della canapa light rimane dunque il solo CBD che tecnicamente non è una sostanza vietata.
L’obiettivo che si cercava di raggiungere con questa legge era il chiarimento senza ombra di dubbio di quello che si può e che non si può fare con la Canapa.
Ma ad oggi il risultato rimane ancora ricco di ambiguità.
Di fatto in nessuna delle due norme viene specificato se sia possibile lavorare e commerciare le infiorescenze della pianta (le parti ricercate principalmente per il consumo a scopo ricreativo).
Anzi la legge 242/2016 sembrerebbe consentire la vendita in quanto cita il florovivaismo tra le destinazioni d’uso consentite.
Un altra falla normativa riguarda il consumo della canapa.
Con alte concentrazioni di THC naturalmente viene equiparata a qualsiasi altra droga stupefacente quindi illegale.
Per quanto concerne invece la Cannabis light, non c’è nessuna specifica riguardo il suo consumo.
Da questo viene da pensare che allora si tratta di un utilizzo legale.
Ma a questo punto entrano in ballo elementi diversi che non riguardano solo aspetto giuridico, per questo motivo il cono d’ombra legislativo vede spesso interventi differenti da parti di giudici chiamati in causa con pareri discordanti se non addirittura opposti fra di loro.
Il risultato è che questi prodotti, a base di Cannabis light, si trovano in vendita e vengono quasi sempre indicati in favore di un uso da collezione.